mercoledì 17 dicembre 2014

Let' s move to Cleveland

Una cosa veloce ma interessante: Stefano Bollani

Sostiene Bollani è il suo primo programma televisivo, completamente dedicato alla musica, andato in onda su RAI 3 a settembre e ottobre 2011 ed ha celebrato la prima giornata internazionale del jazz indetta dal Unesco con una puntata speciale il 30 aprile 2012.

Durante tale trasmissione il nostro ha pensato bene di dimostrare come si possa utilizzare la musica di Zappa (di cui tra l'altro è grande estimatore e conoscitore) per divertire e divertirsi.
Guardate cosa ha pensato di fare in questo  video con  quattro amici: Francesco Grillo, Lorenzo Hengeller, Dado Moroni e Antonello Salis, ci dimostrano il leggendario antagonismo tra pianisti sulle note di  Let's move to Cleveland di Frank Zappa.



Stefano Bollani - 10 mani per F.Z. - Video

Avviso ai naviganti

ciao a tutti

mi sono accorto che i link per scaricare la musica che propongo sono scaduti in quanto su Zippyshare dopo un periodo di inutilizzo (se non si scaricano per trenta giorni) i file vengono cancellati.

 

 

Sto ricaricando i file (lavoro infame) con altri link.

Ho visto con molto piacere che le visualizzazioni dei post sono quasi duemila.

Sorge spontanea una domanda: "possibile che nessuno abbia voglia di commentare o dire qualcosa sia esso negativo o positivo????????" 

 

 

Come già scritto da me e tanti altri blogger i commenti sono la linfa vitale per il proseguimento di un blog e per dare la spinta a "mettere nero su bianco" pensieri, opinioni e quant'altro.

 

Senza polemiche e con l'intenzione, tempo e idee permettendo, di continuare a pubblicare post.

Ciao a tutti e ancora grazie a tutti i visitatori

 





martedì 4 novembre 2014

" Dormono sulla Colllina "

Per rimanere nell'ambito della “ memoria storica” voglio oggi attirare l'attenzione su un libro uscito da un paio di mesi che forse meglio di qualunque saggio o “pizza” ci racconta gli anni della storia italiana dal 1969 ad oggi.
Si tratta di “Dormono sulla Collina” di Giacomo Di Girolamo
Lo consiglio vivamente – Per stimolare la curiosità di seguito la prefazione a cura di Andrea Gentile e il primo brano del libro.

State attenti all’Italia: è una forma pericolosa.
A dare il titolo a questa opera, Dormono sulla collina, è un verso del poeta Edgar Lee Masters, ripreso e tradotto e cantato da Fabrizio De André.

Fabrizio De Andrè - La Collina

Non è in questo modo però che vanno le cose.
L’Italia, che sembra importare tutto, è un potente immaginario che crea da sé eventi di portata mondiale, figure universali e figurine adesive, esplorazioni e scoperte. C’è un modo di sopravvivere tutto italiano, il che significa che l’Italia dispone di una difesa tutta sua contro la morte. Se, saltando oltre 1250 pagine, andate a vedere come finisce questa storia, scoprirete di quale difesa si tratta: è il rudere, l’anima che si fa fossile, una commistione che rappresenta la memoria e il superamento dell’oblio.
È certamente la Spoon River italiana, quella allestita da Giacomo Di Girolamo. Di Girolamo, già autore dell’Invisibile (Editori Riuniti) e di Cosa Grigia (pubblicato per questa casa editrice), si configura qui, a tutti gli effetti, come uno scrittore per eccellenza. È egli autore che percorre i sentieri della scrittura come immersione; scrittore che esonda, quando la corrente è lieve; che carezza, quando ci sarebbe da sferrare un pugno. La tragedia, la commedia, persino la comicità; emergono qui relitti di ogni fenomeno linguistico, che non può che essere fenomeno umano.
Qui Giacomo Di Girolamo si configura come autore enciclopedico, anche. La sua è una forma deviata e poetica dell’enciclopedia delle enciclopedie, cioè quella dei Lumi francesi, il cui Discorso preliminare è scritto da d’Alembert. Vi si legge:
Un tribunale – che diventò potentissimo nel mezzogiorno dell’Europa, nelle Indie, nel Nuovo Mondo – condannò un celebre astronomo, colpevole di aver sostenuto che la Terra si muove, e lo dichiarò eretico; all’incirca come il papa Zaccaria qualche secolo prima aveva condannato un vescovo perché non condivideva l’opinione di Sant’Agostino circa gli antipodi, e aveva intuito la loro reale esistenza seicento anni prima che Cristoforo Colombo li scoprisse. In questo modo l’abuso dell’autorità spirituale, congiunta a quella temporale, obbligava la ragione al silenzio, e poco mancò che si negasse al genere umano il diritto di pensare.
Siamo all’inizio della Encyclopédie e tutto è italiano: Galileo, Colombo, i vescovi e i papi, perfino il santo naturalizzato. C’è un peso della storia che grava sulla Nazione. Il suo passato è sempre il suo futuro, ha tradotto l’impero in una forma di primato della scoperta e ha fondato l’idea stessa di immaginario moderno.
Chi dorme sulla collina sono i morti, che enunciano le arti e i mestieri praticati in vita, gli esempi della commedia umana eletti a emblemi della tragedia collettiva.
Non sarà però un caso che la prima «voce» di questo coro non sia umana: a parlare è la Bomba di Piazza Fontana. È uno degli innumerevoli inizi italiani e a cantarlo è un ordigno capace di segnare l’immaginario di quell’Italia che possiamo in modo equivoco definire «contemporanea»: là dove accade sempre tutto in contemporanea.
Anni plumbei, anni mirabili, anni di schermi televisivi accesi e di fari spenti nella notte, anni di pop e di partiti popolari, con le inevitabili afferenze di mafie, logge, piovre, rivoluzioni mancate, riforme promesse e promesse rimandate, cronache nere e cronache rosa, un partigiano come presidente e presidenti campioni di partigianeria. Si potrebbe andare avanti all’infinito, iniziando dal 1969 e arrivando a oggi.
Questa enciclopedia collettiva e letteraria evita proprio di andare avanti all’infinito.
Sceglie le voci dei propri poetici fantasmi e li fa parlare in prima persona, singolare e plurale, guidando chi legge in una stupefazione che non può non dare le vertigini, come appunto fa l’autentica narrazione di storie, sempre e ovunque.
È significativo che la composizione e la pubblicazione di un simile compendio di storia e immaginario avvenga in un tempo come il presente, in cui sembra affievolirsi la memoria e i liceali stentano a ricordare chi fossero Aldo Moro o Enrico Berlinguer (due tra le migliaia di personaggi che affollano la scena di quest’opera). L’avvento di quelle «reti», che in Italia si chiamavano «cibernetiche» nel 1970 e «social» nel 2014, ha condotto a una sorprendente esportazione della memoria, fuori da tutti noi. Il progressivo imporsi dell’onnipresenza di Wikipedia, al pari della pervasività di tutto il Web, sembra avere ottenuto un duplice effetto. Da un lato esiste una deresponsabilizzazione della memoria, con tutto ciò che questo comporta. Si va a cercare fuori di sé il ricordo: nomi, date, identità – ovunque i database e i motori di ricerca hanno preso il sopravvento. E, d’altro canto, insieme all’esplosione di saperi e di memorie istantaneamente raggiungibili con una ricerca su smartphone o pc, ha presentato il conto una certa poesia di cui la memoria collettiva è sempre stata costituita.
Una bellezza liberatoria o consolatoria o esplorativa governa la scelta, il percorso, l’elezione che si compiono ricordando. Qui interviene lo scrittore, che è un filosofo e un giornalista, come in effetti è, appunto, Giacomo Di Girolamo, eroico estensore di questa enciclopedia italiana sterminata ed epica, lirica e folta di dati. Sembrerebbe l’impronta di una mente, impressa su pagine di carta. E lo è, ma non si riesce a distinguere dove quella mente sia individuale (dell’autore) o collettiva (di tutti noi). È un atto di precisa poetica che ha fatto sì di depositare le moltissime note di quest’opus magnum in Rete e non su carta. Poiché la ricognizione, per quanto letteraria, è rigorosa e precisa, esistono gli apparati.
Ci siamo abituati a leggere uno degli infiniti atti fondativi dell’Italia, cioè la Commedia dantesca, con il testo che corre sopra uno sproposito di notazioni. Tuttavia il poema di Dante rimane appunto un poema e come tale lo si può leggere, prescindendo dalle note. In un tempo dei saperi diffusi e condivisi, l’opera rimane il testo dell’autore, che è sempre chiarissimo e definisce gli eventi e i personaggi, mentre le informazioni di base sono stabilmente reperibili fuori, in Rete.
I migliori morti della nostra vita parlano qui in qualità di spettri, come in tutta la letteratura. E parlano da fantasmi, come in tutte le occasioni di unità nazionale, il cui apice è forse televisivo, per quanto riguarda l’arco temporale che occupa questo cantico delle creature italiane. Si tratta di Alfredino, un primato esclusivamente italico: la morte per la prima volta trasmessa in diretta su piccolo schermo e, incredibilmente, non fatta vedere, consumata in un buco.
Quel buco compare senza soluzione di continuità nella vicenda italiana: nella Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana lo si vede inghiottire cose e persone nel luogo preciso della detonazione; il pozzo artesiano di Vermicino è un foro intorno a cui si muove tremulo il presidente; il «buco» del Banco ambrosiano o di Parmalat fa sparire le sostanze e le sicurezze degli azionisti, in una misura eccessiva, mai raggiunta nella storia internazionale. Foro di pallottola, conca oscura del dopobomba, vuoto del tubo catodico – l’Italia accade storicamente e poeticamente come fossa scoperta, come traforo e miniera, come buco nero che inghiotte la luce della ragionevolezza. Del resto, all’Italia appartiene la maternità della Bomba per eccellenza: fu Enrico Fermi a procurarne la matrice atomica.
Questa è un’opera indefinibile: è una caratteristica, da sempre, di tutte le opere autentiche.
Tra enciclopedia e romanzo (criminale o epico) si dà una via di mezzo: potremmo dire: è l’antologia. Eppure nemmeno il genere antologico riesce a dare conto di un immaginario ordinato e impazzito come il nostro. Il fiore della fantasia italiana si presenta qui attraverso un intreccio di voci, di motivetti, di slogan politici e pubblicitari, di frasi tratte da canzoni o intercettazioni. L’Italia, paese via via bel, senza, normale, vecchio, corrotto, per essere illustrato esige operazioni al tempo stesso coraggiose e caute.
Una nazione capace di assassinare un proprio poeta si merita la sua condanna in forma di assoluzione, proprio il canone che portò Pasolini a definire l’Italia «un equilibrio caotico». Tentiamo allora una definizione. «Equilibro caotico»: può essere una delle tante formule per descrivere l’opera che tenete in mano.
Andrea Gentile

 

Tratto da  “Dormono sulla Collina” di Giacomo Di Girolamo - Il Saggiatore 2014

Sorelle d’Italia – Piazza Fontana, Milano

12 DICEMBRE 1969

Dov’è Pietro che vende bestiame? E Carlo, il nonno di Elisabetta?
Dov’è Luigi: cerca ancora i suoi clienti? E Paolo, che non ce la faceva a riposare? Dov’è Angelo, padre di undici figli?
Dove sono Giovanni, Attilio, Gerolamo?
Il gestore del cinema, il macellaio, l’agricoltore.
Cercateli, cercateli in piazza Fontana.
Sono entrati in una banca, sono usciti a pezzi.
In un tappeto di vetri rotti.
Noi bombe siamo la grammatica della storia patria: Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus eccetera, eccetera, eccetera… come recitava Gaber.
E io sono, in tutti i sensi, la sorella maggiore.
L’inizio di una strategia.
Il peso di una verità negata che lo Stato italiano ancora oggi porta dentro di sé.
Ore 16 e 37. Banca nazionale dell’agricoltura. Diciassette vittime, ottantotto feriti.
In televisione, a Canzonissima, Massimo Ranieri canta «Se bruciasse la città».
Mancano dodici giorni a Natale.
Ricordatemi come volete: la bomba contro il popolo, luna rossa d’odio, il giorno dell’innocenza perduta, primo rintocco di campana.
Io sono l’erezione cutanea nella grigia nebbia padana che ha sfregiato il viso bello del Paese.
Ma chi non ha avuto la sua inquietudine adolescenziale?
C’è sempre un momento in cui bruci tutti i ricordi del tuo passato, tutte le bambole con cui dormivi.
Lo cantavano pure i Pooh alla loro «Piccola Katy». Canzone, non a caso, del 1968.
Io sono quel momento.
Così fragorosa, così evidente da rendere stucchevole ogni tentativo di cercare una scusa.
Così allarmante da procurare – negli anni a venire – un silenzio profondo.
Un silenzio che è la fine del mondo.

Chiudi pian piano e ritorna a dormire
nessuno nel mondo ti deve sentire…
Ciao ciao, piccola Katy.

domenica 28 settembre 2014

"La storia di quel cieco che ha sognato un colore, e cercava di spiegarlo a un altro cieco a parole…"

ORFEO 9 - Tito Schipa Jr.

Tito Schipa Jr. è il figlio del grande tenore Tito Schipa ed esordisce giovanissimo come assistente alla regia di Giorgio De Lullo, Giancarlo Menotti, Luigi Squarzina, Lina Wertmuller. Nel 1967 realizza per il Piper Club di Roma la prima “opera beat” del mondo, ‘Then An Alley’.
A cavallo tra gli anni 1968/1970, anni che segnano una grande rivoluzione culturale, Tito Schipa Jr. realizza, tra mille difficoltà, Orfeo 9, la prima opera opera rock italiana e la prima mai rappresentata al mondo, a tutti gli effetti un melodramma, che ha per vero protagonista assoluto un illusionista prodigioso, che col suo gioco preciso ti inganna e ti tiene distratto dalla più sublime delle visioni possibili: la realtà’.
Girato per il settore sperimentale della RAI nel 1973, il film di ORFEO 9 fu censurato e boicottato pesantemente da alcune correnti della dirigenza di allora (si presume per il fatto che si vedesse l’immagine di una siringa!!!), vedendo la luce della programmazione solo nel 1975, e molto in sordina. Da allora, e a dispetto di ciò, quest’opera è da un lato uno dei prodotti di spettacolo musicale più amato dal pubblico, dall’altro uno degli esempi più clamorosi di emarginazione e trascuratezza da parte delle strutture ufficiali e dei media, cui ha potuto reagire grazie al sostegno costante dei conoscitori e, ultimamente, alle risorse di internet, fino al riscatto definitivo della presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia del 6 settembre 2008 (dieci minuti di standing ovation furono la splendida reazione del pubblico di Venezia al termine della proiezione di Orfeo 9 in Sala Grande come evento conclusivo della 65ma Mostra del Cinema, 35 anni dopo la sua realizzazione!!)
Contestualmente, a sancire il successo dell’opera e dell’idea di Tito Schipa Jr., dobbiamo evidenziare che il doppio album del 1973 detiene oggi un record assoluto nella discografia: quello di essere l’unico ‘doppio’ italiano che per trent’anni non ha mai cessato di vendere e non è mai uscito di catalogo nemmeno per un giorno, giungendo, al momento attuale, a nove edizioni diverse tra LP, Musicassette e CD.
La stampa specializzata l’ha recentemente classificato fra i 100 eventi fondamentali del Rock italiano. 



Orfeo 9. La storia in breve -

Tito Schipa Jr.Orfeo è un ragazzo come tanti che vive in una comunità di ragazzi simili a lui rifugiati nelle rovine di una antica cattedrale, ma mentre il resto del gruppo pare felice e appagato, a lui riesce molto
 difficile sentirsi parte di ciò che lo circonda.
C’è solo un ragazzo, incaricato dei rifornimenti dalla grande metropoli, che fantastica di una città sognata, ben diversa da quella che i ragazzi conoscono e disprezzano. 
Con lui Orfeo pare avere un minimo di condivisione, qualche confidenza. 
Un giorno incontra una ragazza, Euridice, e l’incontro gli procura comprensione, appagamento, gioia, e nella gioia la sensazione di esser parte armoniosa del proprio mondo. 
Alla festa di matrimonio tra Orfeo e Euridice arriva un ciarlatano molto abile ed efficace. Con un trucco raffinato riesce a rifilargli un pacco devastante. Semplicemente gli sistema meglio in mano il bene che aveva già, con un particolare in più però, piccolo ma fatale: la convinzione che a procurarglielo sia stato lui. E con lui, quando se ne va, Euridice sparisce.
Da quel momento il ragazzo non sarà più in grado di assorbire la propria linfa vitale dal presente che lo circonda. Dovrà necessariamente rapportare tutto a quel copyright che il Venditore ha imposto sul suo momento felice, preferirà quell’istantanea fissata per sempre ai molti momenti di felicità reale che gli si presenteranno in seguito. 

Accecato, legato per i polsi a quell’imprinting perverso, partirà alla ricerca di una ragazza, di un’immagine, di un modello che nel proprio presente non trova più, falsamente convinto di aver perduto tutto. E cercherà disperatamente chi – o cosa – gliel’ha procurato, trascurando ogni possibile nuova realtà. Sul cammino ognuno dei suoi incontri gli offrirà invano la propria felicità del momento, compreso il ragazzo del pane, ora nella sua “città sognata” più vera del vero. Orfeo rifiuta, per inseguire il suo pezzo di passato.
Alla fine verrà esplicitamente avvertito da chi ben s’intende di sofferenza:
“Se vuoi mantenere il tuo equilibrio e la tua armonia adagiati sul tuo momento attuale, riempiti di ciò che hai, di ciò che sei e di ciò che è, non chiedere un’intercessione a nessuna sostanza e a nessuna persona, non paragonare il tuo presente, per quanto difficile, a nessun ricordo, per quanto paradisiaco, né a nessun futuro, che ne è solo l’immagine riflessa. Non voltarti indietro.
L’unica verità – e con essa l’unica possibile gioia – è molto vicina, è da qualche parte qui e ora. Il resto è solo il fantasmagorico spettacolo della nostra nevrosi, la tormentosa differenza che ci fa uomini, quella che ci fa grandi e che ci perde”.
Orfeo non capirà. E poi capire soltanto non basta. Ma non è a lui che raccontiamo la storia. A chi ci ascolta (e anche a chi legge), sì, perché la sua Euridice non è perduta.


Molti gli interpreti che in seguito conobbero il successo: da ricordare Loredana Bertè, che interpreta una delle due narratrici, e Renato Zero (grandioso nella parte)  che impersona il venditore di felicità (cioè lo spacciatore). Tra i musicisti che suonano nell'album è da segnalare un giovanissimo Tullio De Piscopo alla batteria.

Titolo originale: Orfeo 9
Anno: 1970
Genere: Musical
Regia: Tito Schipa Jr.
Produzione: Eidoscope di Mario Orfini e Emilio Bolles e da Mount Street Film di Ettore Rosbok per i Programmi Sperimentali della RAI

Cast: Loredana Bertè, Penny Brown, Marco Piacente – Narratori
Tito Schipa Jr. – Orfeo
Edoardo Nevola – Vivandiere
Eva Axen – Euridice
Renato Zero – Venditore di Felicità
Chrystel Dane e Roberto Bonanni – Autostoppisti
Monica Miguel – Chiromante
Ron Mardenbro – Blues-Singer
inoltre (nel film):
Freddy Abbass, Peter Deno, Giovanna Di Bernardo, Paolo Granata, Aldina Martano, Danilo Moroni, Giovanni Rosselli, Eleonora “Rori” Zani
inoltre (nel disco):
Gisella Fusi
Mara Marzarotto
Giovanni Ullu canta in L’alba
Santino Rocchetti canta in Vieni sole
Dino Comolli è la voce del “cittadino” in La città fatta a inferno
Ronnie Jones è la voce del blues-singer in Una vecchia favola
Ann Collin è la voce “vocalizzante” in Eccotela qui (ripresa)
Bill Conti & Joel Van Droogenbroeck interpretano sè stessi


Qui potete trovare il film






Qui trovate il disco



Qui trovate il sito ufficiale dello spettacolo


Ed infine qui il sito di Tito



P.S. Personalmente ho avuto la fortuna (nel lontano 1975) di vedere il film sulla RAI  per puro caso (venne trasmesso in seconda serata di mercoledì). Quando sono riuscito a trovare il disco (e soprattutto i denari per l'acquisto essendo un doppio LP) l'ho praticamente "consumato" dagli ascolti (considerando anche che l'ascolto era delegato al mitico giradischi di "Selezione") e ancora oggi lo trovo attualissimo sia nei testi che e soprattutto nelle musiche. ("La città fatta a inferno" su tutto)

Ciao


mercoledì 17 settembre 2014

GRAND MOTHERS RE:INVENTED

Un regalino

Zappofili e non quello che propongo oggi è una vera chicca.

“The grand Mothers re:invented” Live at Spiaggia Maiben – Bussana al mare – Sanremo - 27 agosto 2009

GRAND MOTHERS RE:INVENTED "La mitica band di Frank Zappa" Tra il 1964 ed il 1974 si chiamavano "Mothers of Invention" ed erano la rivoluzionaria band diretta da Frank Zappa. Oggi, un po' invecchiati, ma con immutato talento si sono ribattezzati "The Grande Mothers (Re-Invented)" ovvero le nonne re-inventate! I Grandmothers una delle più grandi band della West Coast. L'unica band nell'universo in grado di eseguire con lo stesso talento il repertorio di Frank Zappa, estratto sia dal primo periodo degli anni '60 della band e dalla produzione della metà degli anni '70 ripropone fedelmente un sound che è diventato unico e assolutamente stupefacente. Il gruppo originale con l'inserimento di 2 elementi non proprio 60's ad 11 anni di distanza dalla scomparsa di Frank Zappa si diverte a rielaborare , comporre e scomporre brani come "Montana", "Uncle Meat", "Florentine Pogen", "the idiot bastard son", "Big Swifty", " e tantissimi altri per uno spettacolo zappiano senza uguali che coinvolge il pubblico lasciando tutti a bocca aperta. Roy Estrada, Don Preston e Napoleon Murphy Brock (Grammy Award per la sua performance con Zappa plays Zappa) ci accompagneranno a visitare uno degli angoli più belli e creativi della musica moderna con lo spirito di Frank Zappa sempre accanto. Completano il gruppo due eccellenti musicisti: Robbie Seahag Mangano , chitarra, voce e Chris Garcia, batteria, percussioni, voce. 
 (http://www.united-mutations.com/g/grandmothersreinvented.htm)



Agosto 2009 il mitico gruppo di Frank Zappa live e soprattutto al di fuori da tour e vincoli contrattuali.

I musicisti reduci dallo "Zappanale" svoltosi a Bad Doberan in Germania si trovano in vacanza presso dei loro amici in quel di Bussana Vecchia (Un villaggio artistico sorto sulle rovine di un borgo medioevale abbandonato, posto su una collina alle spalle di Sanremo …Nel 1887 un violento terremoto colpì l’entroterra sanremese danneggiando gravemente Bussana Vecchia. Il paese venne abbandonato. Il borgo da allora non fu più abitato, sino all’insediamento della comunità di artisti, iniziato a partire dagli anni Sessanta, il paese è stato riportato alla vita da artisti provenienti da tutto il mondo, che vi hanno lavorato e tuttora vi svolgono la loro attività..........da www.bussanavecchia.it)

GMR a Bussana Vecchia
Allarme rosso!!!!! Gli amici del Club de Musique riescono a contattarli e a proporre loro di esibirsi.  I musicisti accettano. Presso la spiaggia “Maiben” quell'estate venivano organizzati concerti live. Quale migliore opportunità?
Detto fatto grazie alla disponibilità dei gestori della spiaggia e di musicisti locali che forniscono il service..................... “fuoco alle micce”

Non mi voglio dilungare oltre e vi lascio all'ascolto di questo evento che grazie al tam-tam degli amanti della musica del “genio di Baltimora” ci permise di assistere ad un evento storico per la nostra realtà di provincia.
Ancora una cosa: il concerto fu  "gratuito".

Buon ascolto.


“The grand Mothers re:invented” Live at Spiaggia Maiben – 27 agosto 2009 – Bussana al mare – Sanremo

Don Preston: keyboards & vocals
Roy Estrada: bass, vocals, falsetto
Napoleon Murphy Brock: vocals, sax, flute & dancing
Chris Garcia: drums, percussion & vocals
Robbie 'Seahag' Mangano: guitars & vocals

01 - Let's Make The Water Turn Black
02 - Evelyn, A Modified Dog
03 - Oh No
04 - Stormy Monday
05 - Andy
06 - Call Any Vegetable
07 - Hungry Freaks Daddy
08 - Montana
09 - Village Of The Sun
10 - In The Sky
11 - Peaches In Regalia
12 - Lonely Little Girl
13 - Take Your Clothes Off When You Dance
14 - Debra Kadabra
15 - I'm The Slim
16 - San Ber'dino
17 - Sofa No.2
18 - Dummy Up
19 - Mother People

sabato 13 settembre 2014

The female music of the devil

Parliamo un po' di blues e dintorni.
Nello specifico blues al femminile:

 Ladies & gentlemen


Ana Popović (Belgrado, 13 maggio 1976) è una chitarrista e cantante serba. Suo padre la introdusse per primo al mondo del blues, per mezzo della sua grande collezione di dischi e delle session realizzate nella sua stessa casa. Ana si appassionò alla chitarra e fondò la sua prima band a 19 anni. Nello spazio di un solo anno ebbe modo di suonare fuori dalla Jugoslavia e di fare da gruppo spalla del famoso cantante statunitense Junior Wells. Dal 1998, con la sua band, tiene 100 show all'anno ed appare regolarmente sulla televisione iugoslava. Il suo primo album, Hometown, dà un saggio della sua bravura come cantante e chitarrista.
Nel 1999, va in Olanda per migliorare la sua abilità con la chitarra jazz. Diviene rapidamente un'icona della scena blues olandese ed ha successo anche nella vicina Germania. Con Comfort to the Soul (2003), Ana passa a un successivo stadio della sua carriera cambiando il modo di amalgamare blues, rock, soul e jazz. L'album rende chiaro che Ana Popović non vuole riciclare logori cliché. Il suo blues è fresco, positivo e si mescola ad altri generi musicali.(da Wikipedia)

Sono sincero ho scoperto questa grande musicista girovagando sul web dove una copertina ha attirato la mia attenzione e più precisamente la copertina dell'album “Unconditional Cover”
Con una copertina così sfido tutti “i maschietti” a restare indifferenti!!!!!!!!!!!!!!
Il mio primo pensiero (beh, diciamo il secondo) è stato :”la solita copertina sexy per attirare l'attenzione “ chissà che musica sarà??”
Scarico l'album e mi metto all'ascolto.
Sorpresa e meraviglia: voce meravigliosa, grande chitarra e grande band (aggiungerei anche grande gnocca)
Da lì scatta quella che definirei “la sindrome del collezionista” e mi metto alla ricerca di altro materiale.
Sinceramente dopo anni di ascolto quasi esclusivo del “Pianeta Zappa” rimango affascinato da questa blues woman che oltre a cantare e suonare divinamente cover di blues-rock, jazz, reggae ecc. scrive anche dei pezzi splendidi e coinvolgenti che da alcuni  anni a questa parte fanno parte della colonna sonora della mia vita.

Voglio proporvi un album che spero stuzzicherà la curiosità di molti “ Ana! Live In Amsterdam” del 2005



Download: Ana Popovic - Ana!! - Live in Amsterdam








Ana Popovic -guitar & vocals
Denis Palatin - drums
Dominique Vantomme - Keyb  
Fabrice Ach - electric bass


01 - Intro - 3:02
02 - Don't Bear Down On Me - 3:37
03 - Sittin' On Top Of The World - 4:33
04 - Love Me Again - 5:10
05 - Comfort To The Soul - 6:03
06 - Navajo Moon - 8:56
07 - Night By Night - 4:11
08 - Bigtown Playboy - 6:01
09 - Won't Let You Down - 4:53
10 - Jaco - 6:37
11 - Long Way Home - 5:07
12 - My Man - 9:29


P.S. Consiglio caldamente l'ascolto di "Navajo Moon" grande cover di un grande pezzo del grande Stevie Ray Vaughan.


Alla prossima!!!!!!!!!!!!!


lunedì 11 agosto 2014

“Festa dei Proletariato Giovanile” Parco lambro 29 maggio - 2 giugno 1975

Partiamo di sera verso Milano
io, Antonio l'americano,Boy-Boy il cane,
quattro chitarre, Dodo Veroli, niente ragazze.”

No..............questa era Talkin Milano di Guccini

La storia è un'altra
Giugno 1975 – Istituto per Geometri G.Ruffini Imperia

Intervallo - siamo sul terrazzo chi a fumare, chi a mangiare chi a cazzeggiare.

Arriva Umberto con un giornale che riporta la notizia della Festa dei Proletariato Giovanile” al Parco Lambro a Milano

Andiamo??
Sicurooooo!!!!!!!!!!!!!

Pomeriggio ci si organizza
Equipaggio
Il Polacco, Umberto ed Io

Come andare.......................Risolto......................Autostop


Dove dormire............................ Risolto
Umberto ha zii e nonna che vivono a Milano da un pacco di tempo ed abitano a 500 metri da Parco Lambro, hanno una casa enorme e sono pugliesi (da cui assioma = ospitalità elevata al cubo)


Allora il casello dell'autostrada più vicino era quello di Porto Maurizio

Tragitto Arma-Porto Maurizio: il solito Guido con la sua mitica 850 beige
Breve avvicinamento a piedi al casello autostradale, sorriso, pollice alzato e piena fiducia nel prossimo

Non passa molto tempo che si ferma un'auto straniera (Volkswagen Maggiolone Cabrio Arancione con tettuccio nero – autista: Bruciacasette (RIF. tedesco, crucco, nazista, SS ecc)

Botta di c.........o incredibile : “dofe andare voi? Milano! Ok anke io Milano”
Tentativi di dialogo per socializzare con il nostro chaffeur temporaneo andati miseramente a vuoto con risposte fatte di borbottii e nulla di più.
Comunque in breve tempo siamo a Milano – barriera autostradale e finalmente il Ns profonde verbo :P..... (bestemmia rivolta alla madre di Nostro Signore) in Italia sempre pagaren!!!!!!!!!!!!!!!!!!"
Non ricordo se con il linguaggio universale dei gesti, se con l'inglese imparato sui dischi, se col francese imparato (imparato???) a scuola, con riti wodoo o come ma riuscimmo ad avere all' incirca questo dialogo:
Crucco: …........................Dove vi lascio?"
NOI: ….............................dovremmo andare a Parco Lambro”
Crucco: ….........................ok vi lascio in centro e poi vi arrangiate”
NOI: …........ok grazie – 

In centro??????????????? Cazzo.....è andato all' Hotel Hilton!!!!!!!!!!!

Umberto nostro Virgilio ci guida nei gironi infernali della grande città fino alla casa della nonna e degli zii
Dopo i saluti, baci ed abbracci di rito ed il deposito bagagli e masserizie (in realtà uno stramaledettissimo zaino militare scomodissimo e pesantissimo ed eccezionalmente ingombrante)  ci avviamo a piedi verso l' agognata meta della Festa del Proletariato Giovanile”
La cronaca dei concerti l'ho trovata in rete in quanto la mia memoria storica non raggiunge questi livelli di definizione. Diciamo che i miei ricordi collimano abbastanza con quanto riportato.
“Giovedì 28.............Superata la barriera, dopo aver acquistato la tessera (cinque giorni 500 lire) costeggio alcuni stand, in cui si vendono oggetti svariati o si propongono novità come la “bioenergetica”, fino a raggiungere la tenda dell'infermeria (che fortunatamente è stata scarsamente impegnata durante il festival) e la roulotte-segreteria, che funziona anche da stazione radio interna. Proseguendo, arrivo al grande prato che funge da anfiteatro, con il grande palco principale e i due secondari. Su un lato, gli stand alimentari e poi quelli politici e i banchetti che vendono libri e dischi. Stanno suonando gli Hasta Cuando, la cui formazione comprende fuorusciti sudamericani che propongono il loro folklore e le loro canzoni politiche in modo un po' dilettantistico. Seguono i misteriosi Mr. X Freedom e i milanesi Acqua. Gli Arti & Mestieri, che l'anno scorso s'erano imposti come la rivelazione della Festa, propongono il repertorio del primo LP e pezzi inediti, confermando il proprio valore. Segue un audiovisivo sul Vietnam. Tocca quindi agli Area, con brani da “Crac!” e dai dischi precedenti (“Arbeit Macht Frei”, “Cometa rossa”); durante l'esecuzione di “La mela di Odessa”, la musica s'interrompe e tre dei gruppo si dedicano a sgranocchiare mele (fischi dei pubblico, qualcuno grida “melensi!”); per “Gioia e rivoluzione” vengono sventolate, con un suggestivo effetto coreografico, alcune bandiere rosse illuminate da fari. Gli Stormy Six iniziano presentando “Pontelandolfo” dall'album “L'unità” e poi propongono, praticamente per intero, il nuovo LP “Un biglietto dei tram”, concedendo giustamente un certo spazio alle improvvisazioni strumentali che aggiungono vivacità ai brani. Si conclude, molto tardi, con Lucio Dalla, ottimamente accolto dagli spettatori. “
Comunque buona musica e a nanna dalla nonna.
Rientriamo e troviamo l'allegra vecchina” che per stare sveglia (sveglia ed in apprensione ad aspettare il rientro a casa sia del nipote ed i suoi amici sia quello degli zii nonché suoi figli) gioca a solitario. Ci chiede immediatamente se vogliamo mangiare, bere qualcosa, un caffè e quant'altro (l'ho detto prima pugliesi da cui assioma = ospitalità elevata al cubo). Un po' di “fame chimica” l'abbiamo e ci pare offensivo rifiutare l'offerta ed accettiamo volentieri le vivande e gli approvvigionamenti offertici.
Attenzione, l'allegra vecchina” tira però un colpo mancino:
chi vuole giocare a carte?”
Come rifiutare – morale si va a dormire alle 5 con un nuovo bagaglio di aneddoti e detti popolari profusi dalla nonna probabilmente con l'intento di distrarci dal gioco e poter continuare a "barare allegramente" alle carte.

Venerdi 29- Nel pomeriggio sono di scena Stradina & Le Panchine, una formazione di giovanissimi, e Claudio Rocchi, le cui canzoni hanno recentemente assunto una coloritura d'impegno politico. Alla sera Francesco Da Gregori, che trovo decisamente noioso, presenta un vasto repertorio, concludendo con “Alice”, richiesta prepotentemente dal pubblico. Più vivace il “set” di Eugenio Finardi, che ci riporta a del rock basilare con il suo efficiente gruppo: tre pezzi dall'alburn “Non gettate alcun oggetto dai finestrini” e una riuscita improvvisazione in cui si mette in luce il violinista Lucio Fabbri; segue una jam-session condotta dal percussionista Lorenzo Vassallo e dal chitarrista Alberto Camerini cui man mano si aggiungono una dozzina d'altri musicisti.
A nanna dalla nonna???????? Non se ne parla nemmeno siamo o non siamo dei proletari incazzati e rivoluzionari? Hai visto mai un rivoluzionario dormire comodamente in un letto??
La nostra decisione di passare la notte al Parco viene osteggiata caldamente dalla nonna che alla fine cede e ci fornisce in dotazione almeno due ombrelli visto che piove a dirotto (santa donna)
Ci avviamo verso la meta dotati di tenda e sacco a pelo per affrontare due notti all'addiaccio.
Nota tecnica: la tenda era una “Canadese” 2 posti acquistata da me per corrispondenza su “LA BASE”  (chi se la ricorda???) allo stratosferico prezzo di ben 3.900 lire e che aveva la caratteristica di avere un solo telo, peraltro nemmeno impermeabilizzato, che durante la notte accumulava l'umidità e la trasferiva all'interno della tenda da tutti i punti di contatto col corpo o con bagagli presenti all'interno – praticamente si dormiva a cielo aperto con in più un accumulatore di umidità localizzato con funzione di doccia. Pensate sotto una pioggia a dirotto!!!!!!!!!!!!!!!
Comunque “Lotta dura senza paura” montiamo la nostra canadese.
 
Chiaramente la montiamo proprio sotto un albero nelle immediate vicinanze del palco principale su cui c'è appeso in bella vista “Vietato montare tende”
Siamo o non siamo proletari-rivoluzionari ?? I divieti non devono esistere!!!! 

La vera ragione era che, nonostante le "danze contro la pioggia" di woodstockiana memoria avessero nella giornata prodotto il loro effetto, la sera si scatena un nubifragio e sarebbe meglio avere la protezione della chioma dell'albero sulla nostra "magione" vista l' alta tecnologia della nostra tenda. Inoltre utilizziamo  gli ombrelli della nonna (l'avevo detto...santa donna), spezzoni di teli di nylon e quello che riteniamo possa aiutarci a costruire una specie di tettoia sopra alla tenda. Questo artifizio ci permetterà di passare la notte all'asciutto????
Dormire in una canadese 2 posti in 3 è già una bella avventura in condizioni normali, pensate in una tenda dove se per errore tocchi il telo è come se aprissi una doccia può dare la risposta al quesito di cui sopra.
Notte tragicomica - i particolari sono però coperti da copyright.

Sabato 30- Pomeriggio con gente poco conosciuta (Uxa e R.I.P.). L'atmosfera si scalda con Edoardo Bennato e la sua satira politica: il cantante-compositore napoletano propone la sua produzione più recente, incluso (come bis) il famigerato “Meno male che adesso non c'è Nerone”, riscuotendo vasti consensi. Edoardo sa indubbiamente tenere la scene molto bene: potrebbe fare grandi cose scegliendosi dei bravi strumentisti come accompagnatori ed eliminando dal suo repertorio i temi più banali e caricaturali. Ivan Cattaneo,  che mi dicono essere rappresentante del Fuori  non risulta affatto interessante. Tocca poi e Franco Battiato, che dopo un inizio incerto comincia a trarre dalle sue apparecchiature elettroniche del suoni affascinanti, cui aggiunge i suoi particolari vocalizzi una sua inattesa citazione di “Sapore di sale”  sconcerta il pubblico che mostra comunque di apprezzare la prestazione. Torna Lorenzo Vassallo, questa volta accompagnato da un altro percussionista di colore e da due flauti, a regalarci uno dei momenti più belli della Festa: la musica suggestiva del gruppo sostiene le evoluzioni di un danzatore (tale Leo, che ha soggiornato a lungo in india) il quale ripete eleganti figurazioni ispirate ai balli classici dei Kerala.
 
Provati nel fisico e nella mente  "a nanna dalla nonna"


DOMENICA - Oggi gli elementi atmosferici prendono il sopravvento: qualche migliaio d’irriducibili segue comunque le esibizioni di Yu-Kung, Tony Verde, Jane Sorrenti, Donatello e Agorà.
Noi accompagnamo il  Polacco in stazione xchè deve tornare a casa, facciamo un po' i turisti (in fondo io Milano l'avevo vista in vita mia solo dall'interno della Stazione Centrale) e rientriamo dai parenti dove ci attende una serata di riposo.

 LUNEDI’2 - La giornata conclusiva è anche la più calda: dopo i Jumbo, che s’ignorava esistessero ancora, alcune femministe suscitano reazioni contrastanti nel vastissimo pubblico. Vivo successo per il Canzoniere dei Lazio, cui succedono Toni Esposito e quindi Napoli Centrale. Nuove controversie per l’inserimento della musica “contemporanea”  con Cardini che esegue al piano composizioni di Castaldi. Antonello Venditti accompagnandosi al pianoforte, presenta una selezione dei suoi pezzi più famosi e un brano inedito, ottenendo forse l’affermazione più entusiastica di tutto il festival. Io personalmente resto fortemente deluso per la acerba professionalità dell’esibizione e per la vacuità dei monologhi inseriti tra un brano e l’altro, ma la maggioranza dei presenti (e in questa serata conclusiva siamo quasi a centomila) la pensa diversamente. Mentre viene proiettato un audiovisivo sulla manifestazione dell’anno passato al Parco Lambro, i tecnici della PFM si danno da fare per sistemare l’imponente impianto del gruppo; ci vorrà però quasi un’ora perché tutto sia a posto, e quando, la formazione inizia con “La luna nuova” il pubblico è mal disposto. Il complesso non fornisce una prestazione convincente: troppo viene affidato al virtuosismo dei singoli, componenti. Alla Premiata seguirà Giorgio Gaber che nonostante la tarda ora, dopo aver interpretato cinque pezzi, verrà costretto ad altrettanti bis
A nanna dalla nonna senza trucchi e senza inganni

Martedì 3 – la metropolitana questo sconosciuto mostro meccanico......................................
Dobbiamo tornare a casa e dovremmo andare a Milano Centrale a prendere il treno delle 8 e mezza
Come? Ma in metropolitana mi dice Umberto........siamo a Milano
Ok Milano ore 7,30 del mattino di un martedì giorno lavorativo – impiegati, operai, guru, santoni, drogati, alcolizzati e tutto il repertorio umano è lì che attende l'arrivo del prossimo treno sotterraneo.
Saliamo a bordo – la mia consapevolezza del trasporto pubblico era legata a viaggi con pullman, tram, filobus, automobili, moto, biciclette, pattini, carrettini con cuscinetti alle ruote e comunque “mezzi di superficie” legati alle percezioni ottiche di dove cazzo sei.
Mi posiziono nei pressi di un'uscita in modo da essere pronto a scendere quando in nostro momento anche perchè ho al seguito il nostro bagaglio il famigerato zaino militare contenente la famosa canadese de “LA BASE”.
Morale della favola alla seconda fermata vengo travolto da un ondata di umanità che scende e trascina anche me sulla banchina – Mi rendo conto dell'accaduto quando mi volto e vedo Umberto all'interno della carrozza che mi guarda con aria interrogativa (che c...o fai?) e mi fa segno di risalire.
Impresa titanica ed impossibile vista la fiumara di gente che scendeva e mi impediva di tornare indietro ed inoltre i tempi di sosta della metropolitana milanese di quegli anni secondo me erano calcolati in nanosecondi.
Comunque il metrò riparte e io resto come un “pistola” sulla banchina
Cosa avrebbe fatto un milanese e/o qualcuno che fosse già stato in metrò – avrebbe atteso il prossimo treno che (ahh!!!!! averlo saputo!!!!!!) sarebbe arrivato entro max 2-3 minuti
La mia logica mi dice – esci in superfice e vai in stazione a piedi tanto non sarà lontanissima (i parametri geografici delle distanze che esistono in una città come Milano e quelli relativi al paesello Arma di Taggia li ho calibrati quel giorno a mie spese)
Tira molla e busticca dopo non so quanti km a piedi raggiungo la stazione centrale
Il treno dovevamo prenderlo alle 8 e 30 , io ero in stazione alle 12
Riuscii a comunicare che ero ancora vivo e non mi ero perso sia ad Umberto che ai suoi parenti, che nel frattempo mi davano già per disperso, salii sul primo treno e tornai a casa.


Purtroppo l'anno seguente tornammo e le cronache riportano sicuramente meglio di me quello che successe documentando l’ultimo festival di Re Nudo del 1976, considerato da sempre, non a torto, il canto del cigno del movimento underground italiano, al Parco Lambro di Milano, tra infinite furiose discussioni e assemblee sui prezzi politici o meno dei panini e il lancio di centinai di polli surgelati tra una truppa di strani personaggi annoiati e forse un pò troppo sballati.....................ma come dicevo all'inizio questa è un'altra storia